Circa 37 milioni di persone nel mondo sono affette da AIDS (acronimo per Acquired Immune Deficiency Syndrome, o Sindrome da immunodeficienza acquisita), di cui circa 2 milioni sono bambini. I numeri delle vittime del virus HIV (acronimo per Human Immunodeficiency Virus) sono davvero impressionanti nonostante l’impegno promosso dalla comunità internazionale di sconfiggere questa malattia entro il 2030. Il problema è che un paziente su quattro non sa di aver contratto il virus e di questi solo quattro su cinque hanno accesso alle cure farmacologiche.
Anche se oggi la medicina ha fatto passi da gigante, per cui è possibile godere di una buona qualità di vita nonostante la patologia (soprattutto a confronto dell’altissimo tasso di mortalità nel giro di pochissimi anni dei sieropositivi negli anni ‘80 e ‘90), il principale punto di forza dell’AIDS è l’ignoranza che circonda ancora questa patologia. Come ci si ammala? Come prevenire il contagio? Chi sono le categorie a rischio?
Molte sono le domande che sorgono spontanee, specie per chi si approccia per la prima volta all’AIDS. Proviamo insieme a rispondere ai dubbi più comuni, senza pregiudizi e senza imbarazzi: se l’AIDS si nutre per la maggior parte grazie alla non conoscenza delle persone, è anche vero che la nostra principale arma è l’informazione e la capacità di trattare questa patologia (soprattutto al livello psicologico) come una qualsiasi altra malattia.
AIDS e HIV sono la stessa cosa?
No. HIV è il nome di un virus capace di annullare la risposta del sistema immunitario, rendendo il corpo esposto a qualsiasi agente patogeno con cui questo entri in contatto. Con una diagnosi tempestiva e l’assunzione a vita di farmaci ad hoc si può riuscire a rimanere portatori del virus, senza sviluppare mai la patologia, ovvero l’AIDS.
Come avviene il contagio?
L’esposizione al virus HIV può avvenire secondo tre modalità: attraverso lo scambio di emocomponenti; attraverso la gestazione, il parto o l’allattamento; con rapporti sessuali non protetti. Non ci si contagia per contatto con persone infette e con i loro effetti personali. Non ci si contagia con baci, lacrime, sudore, morsi o scambi di saliva (qualora non ci siano lesioni o abrasioni, anche molto piccole). Non ci si contagia nei locali e sui mezzi di trasporto pubblici.
Quindi hanno ragione quando dicono che il sesso e le droghe provocano l’AIDS!
No: il sesso e l’utilizzo di droghe non sono di per sé causa di contagio. L’unico responsabile è il virus HIV che, trasmesso attraverso il sangue o lesioni all’apparato genitale, può scatenare l’infezione. Per ridurre il rischio di contrarre il virus basta avere rapporti sessuali sempre protetti (il profilattico è in grado di bloccare non solo l’HIV, ma oltre 30 malattie sessualmente trasmissibili) e usare prodotti sterili nell’assunzione delle droghe (per quanto sia assolutamente sconsigliato ricorrere all’uso di queste sostanze).
Allora non è vero che l’AIDS è una malattia che colpisce solo i drogati e gli omosessuali, giusto?
Corretto: questa credenza nasce durante gli anni ‘80, durante i quali la maggior parte delle infezioni, a causa sia della mancanza di conoscenza su questa malattia sia della mancata prevenzione, venivano registrati proprio tra gli omosessuali e le persone che facevano uso di droghe (soprattutto pesanti). Oggi si è capito che chiunque può essere infettato con l’HIV con le modalità che abbiamo visto prima.
Come faccio a sapere se sono malato/a?
L’AIDS non ha sintomi visibili (come la varicella, giusto per fare un esempio) e per questa ragione l’unica possibilità di capire se si è contratto o meno il virus è facendo ricorso ad un esame del sangue specifico. Nella maggior parte delle strutture del nostro SSN è possibile fare questo prelievo in forma gratuita, anonima e senza ricetta medica. Altrimenti si può acquistare in farmacia un kit per fare il test a casa (con un’accuratezza quasi al 100%) o ricorrere a strutture private.
Se ho avuto un comportamento a rischio, dopo quanto è consigliabile fare il test?
Da 1 a 3 mesi dopo il primo comportamento a rischio. Ovviamente è necessario, se si sospetta un contagio, astenersi da qualsiasi recidiva finché non si hanno i risultati del test.
Sono sieropositivo. E ora?
Niente panico. La prima cosa da fare è rivolgersi immediatamente a un infettivologo del SSN il quale è in grado di monitorare l’evolversi della malattia, di fornire la terapia farmacologica migliore e garantire, quindi, un’aspettativa di vita simile a quella delle persone non sieropositive.