In medicina per chemioterapia si intende quella branca della farmacologia che sviluppa in laboratorio delle medicine che contrastano le malattie andando a colpire in maniera estremamente precisa e selettiva solo quelle manifestazioni alla base della patologia stessa. Il termine è stato coniato per la prima volta nel XX secolo proprio con questa accezione generale anche se poi, con lo sviluppo in forma endemica di patologie tumorali, il termine chemioterapia è passato ad indicare per antonomasia i farmaci preposti alla lotta alle neoplasie.
Per riassumere possiamo dire che esistono due gruppi distinti di chemioterapie:
- chemioterapia antimicrobica o antinfettiva: lo scopo di questa classe di farmaci (che prenderanno il nome di antibiotici, antimicotici, antivirali etc.) è colpire tanto i microrganismi portatori di malattie (tipo virus e batteri) quanto le cellule da essi contaminate;
- chemioterapia antineoplastica: questi farmaci (antitumorali) vanno a colpire le cellule impazzite da cui origina il tumore e che hanno iniziato a svilupparsi fuori controllo.
Chemioterapia antimicrobica
Mentre gli antibiotici propriamente detti sono farmaci di origine naturale, la chemioterapia antimicrobica è totalmente sintetica. La principale caratteristica di questi prodotti (disinfettanti a parte) è un’elevata tossicità selettiva, che li porta ad agire esclusivamente su una determinata classe di microrganismi salvaguardando le cellule dell’ospite eventualmente coinvolte. Un altro aspetto tipico di molti farmaci della terapia antimicrobica è quello di agire nello specifico su agenti patogeni in fase di riproduzione perché vanno a colpire il metabolismo dello specifico microrganismo.
Chemioterapia antineoplastica
Nel corso del XX secolo la ricerca farmacologica si è concentrata nello studio delle neoplasie, diventate patologie purtroppo endemiche e in molti casi estremamente letali. La chemioterapia antineoplastica segue lo stesso principio della chemioterapia antimicrobica anche se l’obiettivo, questa volta, non è l’interruzione della riproduzione di un microrganismo terzo, ma quella delle cellule tumorali. Purtroppo al momento non esiste un farmaco in grado di riconoscere e agire solo e soltanto sulla massa tumorale, quindi il suo raggio d’azione colpisce tutti quei tessuti in grado di riprodursi con estrema velocità (originando quindi i famosi effetti collaterali legati a nausea, vomito e perdita dei capelli).
Storia della chemioterapia antineoplastica
E’ vero che la ricerca sui farmaci antitumorali è ancora lunga, ma è molto interessante la storia di come sia nata la chemioterapia antineoplastica. Siamo negli anni ‘60 e il chimico statunitense Barnett Rosenberg stava conducendo degli esperimenti sui batteri nel laboratorio di biofisica della Michigan State University per cercare di impedirne la riproduzione. Ci riuscì grazie al cisplatino e per puro caso provò questa molecola sulle cellule tumorali, ottenendo ottimi risultati.
L’utilizzo di questo farmaco sull’uomo (che per via della sua elevata tossicità ha anche rischiato di non arrivare mai in commercio) si deve a due medici che ebbero l’intuizione di provarlo su tredici pazienti affetti da tumore ai testicoli. La loro ripresa fu eccezionale e da quel momento il cisplatino, che contemporaneamente evitava la riproduzione delle cellule tumorali e uccideva quelle già formate, fu largamente usato per il trattamento della leucemia.
Funzionamento della chemioterapia antitumorale
Questo genere di farmaci ha purtroppo un basso indice terapeutico, il che significa che è molto facile raggiungere una dose potenzialmente letale per il paziente (viceversa un alto indice terapeutico indica che per raggiungere concentrazioni pericolose per la persona è necessario assumere quantità maggiori di farmaco). Per questo motivo in fase di terapia si tende ad attivare un protocollo polichemioterapico: lo scopo è quello contemporaneamente di evitare la formazione di cellule resistenti ai farmaci, abbassando la concentrazione potenzialmente tossica del medicinale.
Tutti i farmaci antineoplastici seguono un principio denominato log kill, secondo cui ogni dose di farmaco è progettata per eliminare una percentuale fissa di cellule tumorali. Se consideriamo il fatto che un tumore, per poter essere clinicamente rilevato, deve pesare almeno 1 grammo, è facile capire perché sono necessari più cicli di chemioterapia antineoplastica, che comunque non saranno mai capaci di eliminare al 100% tutte le cellule tumorali. Lo scopo del farmaco, dunque, è di ridurre la concentrazione di tali cellule ad una percentuale talmente tanto irrisoria che lo stesso sistema immunitario della persona può essere in grado di tenerlo sotto controllo autonomamente.
E’ vero che la ricerca sui tumori e su una meno invasiva chemioterapia antineoplastica è ancora lunga, ma nonostante tutto ad oggi questi protocolli sono gli unici in grado di garantire una maggiore possibilità di guarigione al malato.